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L'uomo che verrà (2010)

Regia: Giorgio Diritti
Sceneggiatura: Giorgio Diritti, Giovanni Galavotti, Tania Pedroni
Fotografia: Roberto Cimatti
Montaggio: Giorgio Diritti, Paolo Marzoni
Scenografia: Giancarlo Basili
Musica: Marco Biscarini, Daniele Furlati
Produzione: Simone Bachini, Giorgio Diritti für Arancia Film
Interpreti: Alba Rohrwacher (Beniamina), Maya Sansa (Lena), Claudio Casadio (Armando), Greta Zuccheri Montanari (Martina), Stefano Bicocchi, Eleonora Mazzoni, Orfeo Orlando, Diego Pagotto, Bernardo Bolognesi
Durata film: 117 minuti

 

 

Sinossi: 1943/1944. Martina ha 8 anni ed è l'unica figlia di una coppia di poveri contadini. La sua famiglia vive in un paesino alle pendici di Monte Sole e la bambina ha smesso di parlare qualche anno prima quando il suo fratellino è morto dopo pochi giorni di vita. La sua mamma è di nuovo incinta e Martina trascorre le sue giornate aspettando e sognando il suo 'nuovo' fratellino. Nel frattempo la vita diventa ogni giorno più difficile: il paesino dove vivono è stretto tra le brigate partigiane del comandante Lupo e i nazisti che avanzano e diventa sempre più impossibile non fare i conti con la realtà della guerra. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1944 finalmente nasce il bambino e poche ore dopo le SS iniziano un rastrellamento senza precedenti. E' l'inizio di quella che verrà ricordata come la strage di Marzabotto in cui persero la vita 780 civili, in maggioranza donne e bambini.

Rassegna Stampa 

L'uomo che verrà è un film senza eroi, un film che fa della coralità la sua poesia in cui bravi attori si mescolano a non professionisti, a volti più giovani, in una trama umana ed emozionale. E' il ritratto di un'esistenza collettiva come obbliga il quotidiano incerto della guerra, ove la morte fa parte della vita e così la paura, la fatica, la fame. La sola ad uscire fuori è la ragazzina, Martina, che conosce tutto, che guarda tedeschi e partigiani uccidersi gli uni con gli altri, assiste ai momenti di dolcezza e alle grida di dolore. Che tace e scivola via quando il mercante le regala caramelle e le mette le mani sulle cosce, vede i paracadutisti scendere giù dal cielo e la mamma morire. E combatte per salvarsi, per salvare il fratellino e portarlo via. Giorgio Diritti ha girato in dialetto emiliano, come fece per il suo esordio, Il vento fa il suo giro, parlato in occitano. Anche stavolta predilige una comunità, con al centro la famiglia protagonista che concentra molte storie ascoltate, ed è senz'altro una dimensione che gli corrisponde. E gli permette di controbilanciare l'eccesso di artificio rischioso in un film «in costume» in atmosfere reali, nell'elemento fiabesco orrorifico e nell'assurdità di quella violenza. Cristina Piccino, Il Manifesto

Film come L'uomo che verrà aiutano ad allontanarsi dall'estetica di plastica delle fiction televisive, del cinema hollywoodiano, per tornare a misurarsi con la vera forza delle immagini e con la grande scommessa del cinema. Che è quella di emozionare e insieme far riflettere. Ritmato dal passare delle stagioni, il film racconta dieci mesi, dal dicembre '43 ai primi di ottobre del '44, di una famiglia di contadini nei pressi di Marzabotto. Recuperando una moralità troppe volte dimenticata, evitando qualsiasi gratuita spettacolarizzazione, Giorgio Diritti non ci racconta uno dei tanti eccidi dell'ultimo conflitto ma il destino di vittime che la guerra fa cadere sulle persone: evita le trappole della revisione storiografica, dimostra un pudore coraggioso di fronte alla messa in scena della morte e riesce a fare un film che è soprattutto un inno alla vita, aiutato in questo da un cast perfetto dove professionisti (Maya Sansa e Alba Rohrwacher, ottime; Claudio Casadio, sorprendente) e non (la piccola Greta Zuccheri Montanari nel ruolo di Martina) sanno trasmettere un' immagine indimenticabile di verità e di dolore. Paolo Mereghetti, Corriere della Sera

Un mosaico di storie incrociate sullo sfondo, una bambina che lotta per la sopravvivenza, nella neve e nel sangue, portandosi dietro la culla con un neonato, lasciando lo spettatore inchiodato alla poltrona, a chiedersi se ce la farà o meno a salvarsi dal macello (la risposta arriva solo nell'ultima scena). Paesaggi di sogno catturati in fotogrammi che sembrano dei quadri, la vita degli anni della guerra ricostruita con filologia poetica, oggetti dimenticati (come la macchina di legno per le tabelline in una scuola poverissima) lingue che si incrociano come in una babele, senza comprendersi. Emozioni pennellate con fotogrammi, piccole grandi invenzioni. L'uomo che verrà è quasi un film muto, senza bisogno di traduzioni o sottotitoli, in cui gli sguardi raccontano più delle parole, e le musiche irrompono con la forza di un coro di voci bianche struggente, ma in cui tutto è asciutto, come se la sceneggiatura fosse stata rifinita con il bisturi. Giorgio Diritti ha composto un affresco sorprendente. Provate a dimenticarvi, prima di andare al cinema, che il film parla della strage di Marzabotto. Dimenticate per un attimo anche che è un film girato in dialetto, con sottotitoli. Andate a vederlo non come se fosse una storia sulla guerra di Liberazione del '43-'45 (ovviamente è anche questo), ma come un film su tutte le guerre e su tutte le speranze, un film sull'amore e sull'odio. Luca Telese, Il Fatto Quotidiano