Stampa

La giusta distanza (2008)

Regia: Carlo Mazzacurati
sceneggiatura: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati, Marco Pettenello, Claudio Piersanti
fotografia: Luca Bigazzi
scenografia: Giancarlo Basili
musica: Tin Hat
montaggio: Paolo Cottignola
Interpreti: Giovanni Capovilla (Giovanni), Ahmed Hafiene (Hassan), Valentina Lodovini (Mara), Giuseppe Battiston (Amos), Roberto Abbiati (Bolla), Natalino Balasso (Franco), Stefano Scandaletti (Guido), Mirko Artuso (Frusta), Fabrizio Bentivoglio (Bencivenga), Ivano Marescotti (Ivan), Maria Rocco (Eva)
Produzione: Domenico Procacci per Fandango; durata: 106'


 

Sinossi: In un piccolo paese alle foci del Po si svolge la controversa relazione tra Hassan, un meccanico tunisino, e Mara, una giovane supplente che ha accettato l'incarico di insegnante a tempo determinato. Testimone degli avvenimenti, che vedono protagonisti i due amanti, è Giovanni, un giovane cronista, amico di Hassan, costretto a fare i conti con i suoi sentimenti e i doveri professionali.

Rassegna Stampa 

"Il fascino del film sta soprattutto nei paesaggi: Mazzacurati torna sui luoghi del suo brillantissimo esordio, Notte italiana (1987), e li racconta con il senno di poi. E' un nord-est abbagliante, magnificamente fotografato da Luca Bigazzi, nel quale si nascondono solitudini, rancori, violenze inespresse. Si parla anche di immigrazione, di lavoro nero, della voglia di fuggire da un delta inquinato come il fiume che lo forma. La giusta distanza è il ritratto di un paese malato, in cui forse è inutile cercare colpevoli perché nessuno è innocente". Alberto Crespi, L'Unità, 20 ottobre 2007

"Mazzacurati torna sui luoghi del suo film d'esordio, in quella provincia che ha alcuna intenzione di lasciare. Luoghi che sono cambiati più nelle persone che negli scenari, lì la banalità e la casualità del male è evidente. Non c'è bisogno di serial killer e di sangue che sgorga copioso, basta poco per sconvolgere le tranquille esistenze del paesino di Concadalbero, inesistente ma realistico a ridosso del delta padano: cani morti ammazzati, poi un omicidio che arriva nel finale. Ma non si urla. Neppure nel film che lavora sottotraccia, strana la solitudine che attanaglia un po' tutti in un affresco poderoso e avvincente nel suo rifiuto di diventare sensazionalismo per cercare invece emozioni. Vere". Antonello Catacchio, Il Manifesto, 20 ottobre 2007

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